Dal 2014 ad oggi, sono scomparse nel mondo 53.768 persone che cercavano un rifugio al di fuori del loro Paese. Migranti. Per qualsivoglia motivo, necessità, urgenza: migranti. Di queste persone, 26.085 sono scomparse nel Mediterraneo, secondo “numeri” aggiornati allo scorso 26 febbraio e approssimati per difetto. “Scomparse”, per altro, è un termine che dissimula la crudezza del vero significato di quei numeri: “Morte”. Quelle persone sono morte davanti ad un filo spinato o assiderate o uccise a colpi di mitra o sono annegate. In 26.085 sono annegate nel Mediterraneo.
I dati sono pubblicati – e purtroppo anche continuamente aggiornati – da “Missing migrants projects”, il Centro di analisi dei dati sulla migrazione globale curato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – OIM – con sede in Svizzera. La quale sottolinea che “ogni numero rappresenta una persona, così come la famiglia e la comunità che si lascia alle spalle”.
Sottolineatura inutile? No, perché il rischio è proprio nell’assuefazione, una sorta di “abitudine” che esalta i numeri come astrazione e scolora le tinte della tragedia fino a sbiadirle, che ci fa vedere la superficie azzurra del Mediterraneo e non anche il buio che nelle sue profondità custodisce a migliaia uomini, donne, bambini. Perché, come ha detto Papa Francesco commentando una delle tragedie avvenute in mare qualche anno addietro: “Il Mediterraneo è il più grande cimitero d’Europa”.
Talvolta, le notizie colpiscono l’attenzione delle persone più sensibili: per il numero elevato di vittime, per la presenza di bambini, per un’immagine toccante. E’ questo il caso della tragedia di Cutro, in Calabria, l’ultima in ordine di tempo, o forse no: non di tutti gli incidenti, gli annegamenti, le morti in mare, si ha notizia.
Poi l’attenzione diminuisce, sopraggiungono altre emotività e perfino il ricordo sbiadisce fino al prossimo naufragio e con il sommarsi degli episodi, naufragio dopo naufragio, diminuisce l’interesse, quasi che si tratti di una replica, di un déjà vu e non invece di altri uomini, altre donne, altri bambini che muoiono.
No, per favore, non dimentichiamo. Non dimentichiamo i 368 migranti morti a Lampedusa nel 2013 e le centinaia – il numero è sconosciuto – di migranti affogati nel Canale di Sicilia nel 2015 o sulle coste egiziane l’anno successivo o che colano a picco imprigionati dal fasciame di improbabili imbarcazioni al largo delle coste nordafricane, tragedie di cui non si ha neppure notizia.
Non dimenticare serve a tentare di rendere meno trasparenti quelle morti in mare, a tentare di evitare che si ripetano, a tentare di fare massina critica su chi ha il potere di decidere che occorre cambiare regole e sistemi. Fors’anche nel nostro interesse di Paese, sicuramente in nome della nostra umanità.
Gallipoli, 1 marzo 2023
GIUSEPPE ALBAHARI